Il senso dello Stato di diritto per l’Unione: l’approvazione del PNRR polacco nelle urgenze della guerra
Il 1° giugno 2022 la Commissione europea ha presentato una proposta di decisione di esecuzione del Consiglio relativa all’approvazione della valutazione del Piano per la ripresa e la resilienza della Polonia (COM(2022) 0268).
Dalla lettura della Proposta – approvata dal Consiglio Ecofin il 17 giugno 2022 – emerge che il Piano presentato dalla Polonia rappresenterebbe una risposta equilibrata ai sei pilastri del Next Generation EU (1. Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo.- 2. Rivoluzione verde e transizione ecologica. – 3. Infrastrutture per una mobilità sostenibile. – 4. Istruzione e Ricerca. – 5. Inclusione e Coesione. – 6. Salute).
Dietro tutto ciò, tuttavia, la questione rilevante per l’osservatore esterno è ben più ampia degli obiettivi specifici del PNRR; si tratta, come ovvio, della condizione dello Stato di diritto in Polonia e delle preoccupazioni che da anni rinfuocano un profondo conflitto fra il Paese e le istituzioni dell’Unione europea, conflitto il quale ha avuto (ed ha) come oggetto principale l’indipendenza della magistratura polacca.
Sul punto, dopo aver rilevato che la necessità di individuare traguardi relativi alla tutela degli interessi finanziari dell’Unione e di conseguenza un sistema di controllo interno adeguato, la Proposta evidenzia l’indissolubilità che lega il suddetto controllo ad una precondizione essenziale quale l’indipendenza della magistratura. Esigenza quest’ultima, soddisfatta dalla circostanza per cui nel Piano polacco «sono disposti traguardi per una riforma che rafforzi l’indipendenza e l’imparzialità degli organi giurisdizionali, una riforma che ponga rimedio alla situazione dei giudici oggetto di decisioni della Camera disciplinare della Corte suprema […] e per una riforma che garantisca un audit e un controllo effettivi» (par. 44).
Nello specifico, nell’ottica di «rafforzare l’indipendenza e l’imparzialità degli organi giurisdizionali e dei giudici istituiti per legge conformemente all’articolo 19 TUE», la Proposta invita il governo polacco a riforme tali per cui «tutte le cause disciplinari relative ai giudici dovrebbero essere trasferite dall’attuale Camera disciplinare della Corte suprema polacca a un’altra camera della stessa Corte che soddisfi i requisiti di indipendenza e imparzialità e sia istituita per legge» (par. 45), garantendo inoltre che «qualsiasi giudice, su richiesta di una parte o di propria iniziativa, dovrebbe poter accertare che un organo giurisdizionale soddisfa i requisiti di indipendenza, imparzialità e legalità, e la verifica non dovrà essere qualificata come illecito disciplinare» (par. 46).
Da ultimo, la Commissione specifica che la Polonia dovrebbe (il modo condizionale è usato dalla Commissione stessa, cfr. par. 44) raggiungere i traguardi previsti dal piano addirittura prima dell’invio della richiesta di pagamento della prima tranche di pagamenti, e che nessun pagamento potrà essere effettuato prima del conseguimento dei traguardi stessi.
Come prevedibile, l’approvazione della Commissione al Piano polacco ha suscitato non poche reazioni da parte degli osservatori e delle altre istituzioni dell’Unione. Con specifico riferimento a queste ultime, occorre infatti rilevare che il 9 giugno 2022 il Parlamento europeo ha approvato con oltre 441 voti favorevoli una Proposta di risoluzione comune che esprime una posizione fortemente contraria all’approvazione del Piano.
Il Parlamento europeo rileva anzitutto il dato di fatto per cui in Polonia sarebbe sussistente un processo di erosione della democrazia e dello Stato di diritto (questo dato di fatto era posto peraltro alla base dei tre criteri definiti nell’ottobre 2021 dalla stessa Commissione europea al fine di decidere circa l’approvazione del Piano polacco: a) smantellamento della sezione disciplinare della Corte suprema; b) riforma dei procedimenti disciplinari a carico dei giudici; c) reintegrazione dei giudici sospesi dalla sezione disciplinare).
Tale processo di erosione, ritiene il Parlamento, sarebbe allo stato attuale tutt’ora in fieri, poiché «le riforme in Polonia nel settore della giustizia sono ancora in corso e che i recenti progetti di legge in votazione e le proposte in discussione non hanno dato una risposta efficace a tutte le preoccupazioni relative all’indipendenza degli organi giudiziari e alle procedure disciplinari in causa; che il Senato polacco sta cercando di modificare tali proposte per allinearle al principio dell’indipendenza della magistratura; che diversi giudici sono ancora oggetto di procedure disciplinari e/o non sono stati reintegrati» (par. G). Di più, il Parlamento europeo non solo ritiene che le riforme in corso siano allo stato insufficienti, ma valuta la situazione polacca come apertamente contraddittoria rispetto agli obiettivi posti, in quanto – già solo con riferimento al 2022 – sarebbe possibile osservare «la sospensione di un giudice a febbraio 2022 per aver applicato il diritto dell’UE e le sentenze degli organi giurisdizionali dell’UE; che, inoltre, il presidente della Polonia […] ha nominato in modo irregolare oltre 200 nuovi giudici, definiti “neo giudici” […]; che il 10 marzo 2022, su richiesta del ministro della Giustizia, il “Tribunale costituzionale”, politicizzato e totalmente controllato ha altresì compromesso […] la validità dell’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in Polonia, mettendo in discussione la facoltà della Corte europea dei diritti dell’uomo e dei tribunali polacchi di esaminare la correttezza della nomina dei giudici e l’indipendenza del nuovo CNM» (par. H).
In contrasto con la Commissione, il Parlamento ritiene deplorevole, insomma, che la condizioni del Piano polacco non prevedano la reintegrazione di tutti i giudici illegittimamente sospesi nel corso di questi anni ed esorta perciò il Consiglio ad approvare il Piano stesso soltanto quando «il paese avrà pienamente soddisfatto i requisiti del regolamento che istituisce il dispositivo e in particolare i requisiti di cui all’articolo 22, segnatamente nell’ottica di tutelare gli interessi finanziari dell’Unione da conflitti d’interessi e frodi, nonché tutte le raccomandazioni specifiche per paese del semestre europeo nel settore dello Stato di diritto, e avrà attuato tutte le pertinenti sentenze della CGUE e della Corte europea dei diritti dell’uomo» (par. 3).
Ora, esplicitate in questo modo le posizioni della Commissione e del Parlamento, è chiaro che l’intera questione non possa essere letta soltanto alla luce delle note discussioni circa la capacità dell’Unione di rispondere alla crisi dello Stato di diritto che da anni interessa la Polonia (e l’Ungheria).
A chi scrive parrebbe necessario – o comunque opportuno – interrogarsi circa l’esistenza di un innominato elefante nella stanza. Il riferimento è alla guerra in Ucraina e alle condizioni fattuali che inevitabilmente finiscono per porsi quali vincoli politici all’azione della Commissione, a partire dalla circostanza per cui la Polonia – limitando la pressione della corrente migratoria rispetto agli altri Stati membri – è attualmente il Paese europeo che accoglie il maggior numero di migranti ucraini. Questa condotta, come giustamente rilevato, non può e non deve essere letta come un gesto di spassionata generosità del governo polacco, in virtù del fatto che buona parte dell’accoglienza è comunque garantita da sforzi autonomi della società civile e risulta in ogni caso un’arma politica in mano al governo di Morawiecki al fine di far valere il peso specifico della Polonia nelle decisioni strategiche che l’Unione sta prendendo in questi mesi riguardo le sanzioni nei confronti della Russia. Tale ricostruzione, per quanto legata a considerazioni di natura prettamente politica, trova una sua conferma nella circostanza per cui – a seguito di un percorso certo complesso (sul punto sia concesso il rinvio a quanto precedentemente scritto su questo Blog) – il meccanismo di condizionalità relativo alla protezione del bilancio dell’Unione (e indirettamente, allo Stato di diritto) è stato attivato esclusivamente nei confronti dell’Ungheria, a fronte di violazioni dello Stato di diritto rilevate allo stesso modo (seppur sotto profili evidentemente differenti) nei riguardi della Polonia.
Tale differenza di trattamento appare trovare una sua giustificazione nel diverso ruolo strategico giocato dalla Polonia nella gestione della guerra in Ucraina, sia in virtù della richiamata attività di accoglienza che alla luce dei rapporti con l’Ucraina e con la Russia, segnati da un’esperienza storica certamente rilevante.
In parziale analogia con l’iter di approvazione del Regolamento (UE) 2092/2020, le dinamiche politiche e la dimensione intergovernativa finiscono talvolta per rivelarsi come un limite al processo di integrazione, con particolare riferimento alla protezione dei valori fondativi. In quella occasione, la proposta di Regolamento che la Commissione aveva presentato nel 2018 (con la quale si tentava di tutelare lo Stato di diritto tramite lo strumento del bilancio) venne modificata – oltre che per risolvere in parte i rilievi sollevati dal parere n. 13593 del 25 ottobre 2018 del servizio giuridico del Consiglio – anche a seguito della circostanza per cui Polonia e Ungheria minacciarono di porre il proprio il veto sull’approvazione del Quadro Finanziario Pluriennale, mettendo a rischio la possibilità per l’Unione di adottare le necessarie misure di contrasto alla pandemia. Come noto, il Regolamento infine approvato portò addosso i segni del compromesso raggiunto, prevedendo una certa funzionalizzazione della protezione della rule of law agli interessi finanziari dell’Unione. Ciò anche a seguito del Consiglio Europeo del 10 e 11 dicembre 2020, le cui conclusioni subordinarono – almeno di fatto – l’applicabilità del meccanismo di condizionalità alle seguenti condizioni: da un lato alla previa decisione della Corte di Giustizia su eventuali ricorsi per annullamento (prontamente presentati da Polonia e Ungheria, e poi ritenuti infondati dalla Corte stessa, sul punto cfr. V. Sachetti su questo Blog), dall’altro alla predisposizione da parte della Commissione di linee guida relative al meccanismo di condizionalità stesso.
Ancora una volta, dunque, la realtà dei rapporti politici e la conseguente necessità del compromesso emergono come condizioni e presupposti non trascurabili dell’azione dell’Unione; ciò nella misura in cui, ad esempio, è possibile apprezzare nella condotta della Commissione europea una manifestazione della radicalità del problema: se da una parte sono stati moltissimi gli sforzi di quest’ultima nel tentare di arginare la deriva illiberale ungherese e polacca (da ultimo, con l’apprezzabile prova di sintesi rappresentata dalle Linee guida sul meccanismo di condizionalità), dall’altra è in buona misura comprensibile la difficoltà di mantenere un percorso di coerenza nel contesto tragico di questi mesi.
Lungi dal risolversi esclusivamente in una dimensione politica, le considerazioni precedenti suscitano per lo studioso alcune riflessioni obbligate. In un momento in cui l’Unione – prima con la gestione della pandemia e l’emissione di debito comune, poi con le posizioni sulla guerra in Ucraina (rectius, con le sanzioni alla Russia) – segna in qualche modo il proprio destino, rilanciando un progetto che vede nella solidarietà la propria direzione di senso complessiva, permane inesorabile il nodo della dimensione intergovernativa. Risulta meno immediata, dunque la risposta ad una domanda che sorge spontanea e che porta ad interrogarci – adesso e alla luce di quanto riportato supra – sull’ampiezza del significato da attribuire al carattere fondativo dello Stato di diritto nell’esperienza attuale dell’Unione.