L’uso delle bandiere regionali e i simboli dell’unità: alcune precisazioni dalla Corte costituzionale (Nota a Corte cost., sent. n. 183 del 2018)
Con la sent. n. 183 del 2018 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni di una legge Regionale del Veneto (n. 28 del 2017) in cui si prevedeva l’obbligo di esporre la bandiera regionale in un all’esterno di edifici adibiti a sede di amministrazioni statali, nonché su imbarcazioni di proprietà di questi ultimi.
Leggendo la sentenza si percepisce come la Corte abbia sentito il dovere di illustrare il tema dei “simboli” nazionali e territoriali con un’attenzione ben superiore alle mere finalità processuali. Ne è derivata una pronuncia dall’andamento sinusoidale, che alterna affermazioni sin troppo sintetiche riferite al riparto di competenza tra Stato e Regioni a considerazioni di maggiore spessore, dedicate al tema dei simboli nazionali e territoriali nell’ordinamento costituzionale repubblicano.
Ciò è tanto vero che la Corte costituzionale ha ritenuto doveroso anteporre all’esame dei motivi di ricorso formulati dallo Stato una “ricognizione del quadro normativo di riferimento” che ha preso le mosse dall’art. 12 Cost., ancorché detto articolo non fosse stato invocato dal ricorrente quale parametro di legittimità della quaestio.
Quasi a colmare una lacuna dei motivi di ricorso, la sentenza risale addirittura ai lavori dell’Assemblea costituente per sottolineare che l’inserimento di quella disposizione tra i princìpi fondamentali si deve al fatto che la bandiera assomma alla tradizionale funzione di apprestare un “segno distintivo della personalità dello Stato sul piano internazionale” quella di “strumento di identificazione della Nazione nel suo Stato”, atteso che “la bandiera costituisce […] l’espressione in simbolo dello Stato nazionale”.
Di più, citando la sent. n. 189 del 1987, si è anche premurata di segnalare il superamento della “valenza” della bandiera nazionale come mero “simbolo di sovranità nazionale”, ovverosia di segnale giuridico-militare di appartenenza di un luogo a uno Stato, quale era nel regime fascista. Nell’ordinamento democratico pluralista, invece, la bandiera nazionale diventa il simbolo di un’identità statale aperta al “confronto con le idealità perseguite da popoli di altri Stati e da Nazioni diverse”.
Entrando nel merito dei motivi di ricorso, la sentenza ha poi dichiarato fondata la censura di violazione dell’art. 117, comma 2, lett. g), Cost.: la Regione Veneto, avendo imposto l’esposizione della bandiera regionale presso gli uffici e le imbarcazioni delle Amministrazioni statali ha invaso la competenza legislativa statale in materia di “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali”.
A tal proposito, la Corte si limita a menzionare il proprio orientamento sull’impossibilità per la legge regionale di attribuire all’Amministrazione statale “compiti e attribuzioni ulteriori rispetto a quelli individuati con legge statale”. Anche un’attività avente “carattere meramente materiale” come quella imposta dalla Regione Veneto, infatti, genera un obbligo capace d’incidere nella sfera dell’organizzazione amministrativa, anche in ragione della “valenza connotativa delle funzioni” offerta dall’esposizione dei simboli. Ben poca cosa, dunque, specie alla luce del fatto che, al paragrafo successivo, la Corte adopera toni ben più condivisibili, affermando nettamente che non è meritevole di tutela la pretesa della Regione di imporre l’uso di segni ad organi ed enti che, pur operando in maniera decentrata, “sono espressivi di una collettività distinta e più vasta (quella dell’intiera nazione)”. Questa circostanza, ben più dell’attività materiale sopra menzionata, vale a menomare la competenza statale in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa. Se l’impiego di simboli istituzionali ha la capacità di qualificare l’attività dell’ente che li espone, allora imporre quelli regionali determina la torsione del modulo organizzativo del “decentramento” in quello diverso della “devoluzione” o delega della funzione, così da determinare la spoliazione della competenza legislativa statale.
Diverso registro la sentenza offre nei paragrafi nei quali si esamina la censura riferita alla violazione dell’art. 5 Cost. Anche in questo caso la Corte sembra voler puntellare la struttura del ricorso, osservando che l’invocato “art. 5 Cost. deve essere letto alla luce della specifica disposizione costituzionale […] relativa alla bandiera: ossia l’art. 12, pur non evocato come parametro dal ricorrente, che individua nel «tricolore italiano» la bandiera della Repubblica, erigendola a simbolo dell’unità nazionale”.
È proprio “traguardato alla luce dell’art. 12” che l’art. 5. Cost. “esclude che lo Stato-soggetto possa essere costretto dal legislatore regionale a fare uso pubblico di simboli – quali, nella specie, le bandiere regionali – che la Costituzione non consente di considerare come riferibili all’intera collettività nazionale”.
Ribadisce, dunque, la Corte il giusto significato della collocazione dell’art. 12 tra i princìpi fondamentali (sul punto Luciani M., Art. 12, Carocci, Roma, 2018, spec. 10 sg.) e da questa considerazione di ordine generale fa derivare alcuni corollari, a loro volta suscettibili di ulteriori sviluppi critici.
In primo luogo, la sentenza avverte che la descrizione della bandiera nazionale nella Costituzione si deve anche all’esigenza di impedire che il simbolo dell’unità nazionale possa essere modificato a piacimento della maggioranza politica di turno.
Conseguentemente, la menzione nei princìpi fondamentali, con la sua particolare rigidità, protegge il simbolo dell’unità nazionale anche dalle maggioranza capaci di sostenere una revisione costituzionale. È parimenti possibile affermare che la medesima ratio deve ispirare anche la disciplina degli altri simboli nazionali (inno, emblema, etc.) della quale la Costituzione non si occupa, ma che non possono certo essere ispirati da scelte di parte, discriminanti o escludenti.
In secondo luogo, secondo la Corte l’art. 5 Cost. (insieme all’autonomia e alle stesse disposizioni della l. n. 22 del 1998) è il fondamento normativo della competenza legislativa delle Regioni sui vessilli regionali. La lettura congiunta dell’art. 5 con l’art. 12 Cost., però, limita la potestà regionale, che non può “avanzare la pretesa di affiancare imperativamente alla bandiera della Repubblica, configurata dalla Costituzione quale elemento simbolico «tipizzante», i vessilli delle autonomie locali in tutte le ipotesi in cui il simbolo stesso sia chiamato a palesare il carattere «nazionale» dell’attività svolta da determinati organismi, enti o uffici”. In questo senso, ciò che distingue la bandiera nazionale da quelle regionali non è la maggiore “dignità” della prima, quanto la necessità di ribadire il carattere di apparati serventi dell’intera comunità nazionale delle funzioni pubbliche svolte dalle Amministrazioni statali.
Da ultimo, a riprova delle sue argomentazioni, la Corte presenta un singolare parallelismo: il rapporto tra simboli regionali e statali e quello tra simboli statali e dell’Unione europea. A tal proposito, nella sentenza si osserva che, come lo Stato può imporre alle Amministrazioni statali di esporre la bandiera europea con quella nazionale, la Regione può imporre alle proprie articolazioni amministrative di esporre la bandiera nazionale con quella regionale. Parimenti, come lo Stato non può imporre all’Unione di esibire negli uffici europei la bandiera italiana, così la Regione non può imporre allo Stato di esibire quella regionale. Questo parallelismo, specifica la Consulta, vale “a prescindere dalla chiara eterogeneità dei rapporti tra Unione europea e Stati membri rispetto ai rapporti tra Repubblica italiana e Regioni”. Si rimarca così quanto ancora sia distante la realizzazione di un’Europa federale e “una e indivisibile”, come dimostra anche la più fragile carica politico-istituzionale dei simboli europei, non ancora capaci di “riassumere” – si direbbe riprendendo le parole del Presidente Einaudi – le bandiere nazionali (sul tema, in generale, si rinvia a Luciani, cit., passim; Zagrebelsky G., Simboli al potere. Politica, Fiducia, Speranza, Einaudi, Torino, 2012).